Si analizzano ora le criticità, nel dettaglio, della nuova normativa sull’omicidio stradale di cui abbiamo già parlato qui. Il seguente articolo mira a dare contezza delle criticità della nuova normativa e della rilevanza mediatica che essa ha prodotto. Brevemente, si rammenta come – anche soltanto analizzando il reato ex art. 589 bis c.p., ovvero l’omicidio stradale – lo stesso preveda:
- la reclusione da due a sette anni l’omicidio commesso in violazione delle norma sulla circolazione stradale (comma 1°);
- aggravamento di pena nei casi di soggetti in stato di ebrezza alcolica grave (tasso alcolemico superiore a 1,5 grammi per litro) o di alterazione psico-fisica derivante dall’assunzione di sostanza stupefacenti o psicotrope, punendo le predette fattispecie con la reclusione da otto a dodici anni (comma 2°);
- la medesima pena della reclusione da otto a dodici anni qualora si tratti di conducenti professionali in stato di ebrezza alcolica anche solo media (tasso alcolemico compreso tra 0.8 e 1,5 grammi per litro) o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope (comma 3°);
- la reclusione da cinque a dieci anni colui che cagiona la morte di una persona sotto effetto di tasso alcolemico medio oppure a seguito di comportamenti frutto di particolari imprudenze alla guida (commi 4° e 5°);
- aumento di pena se il reo ha commesso il fatto senza patente, con patente sospesa o revocata o utilizzando un veicolo non assicurato (comma 6°);
- un aumento di pena, in particolare la pena che dovrebbe essere inflitta per la violazione più grave aumentata fino al triplo da contenersi nel limite massimo di diciotto anni, qualora il conducente cagioni la morte di più persone o la morte di una o più persone e le lesioni di una o più persone (comma 8°).
In tal senso, una mera deduzione logica consente di valutare – anche solo al semplice impatto emotivo – la leggerezza con cui sono state definite le pene della suddetta previsione normativa.
Gli effetti della pena
Le pene previste per il reato di omicidio stradale, infatti, sono da considerarsi proprie di reati che – notoriamente – nel codice penale sono previsti a titolo di dolo, ovvero nell’eventualità in cui il reo commetta il fatto con precisa coscienza e volontà (e, spesso, anche allo scopo di trarne un profitto o un beneficio personale). Dunque, per reati piuttosto gravi.
Appare poco adeguata alla realtà la circostanza che un soggetto venga condannato a una pena minima di otto anni, nel caso in cui venga coinvolto in un incidente stradale mortale, benché sotto effetto di alcolici o sostanze stupefacenti, ma di cui venga reso responsabile a titolo di colpa (ovvero venga dimostrato che non abbia avuto coscienza e volontà di commettere il fatto).
Per vero, ci si rende conto benissimo che l’impatto emotivo derivante dalla scomparsa di una persona cara in virtù di un’imprudenza alla guida di un soggetto possa far anche solo considerare come plausibile l’ipotesi di una pesante irrogazione di pena, ma – a mente più lucida – ben bisogna riflettere su cosa significhi scontare 8 anni di pena minima per una mera imprudenza.
Senza contare la circostanza che una pena base di 8 anni impedisce, di fatto, l’accesso alla stragrande maggioranza dei benefici previsti dalla legge, col risultato che anche un incensurato non potrebbe beneficiare della sospensione condizionale della pena, nonostante la legge preveda l’applicazione di tale beneficio generalmente a chiunque venga reso responsabile di un reato per la prima volta nella sua vita.
Ma vi è di più.
La pesantezza delle pene e la generale non previsione di alcun concreto beneficio nell’ipotesi in cui il reo presti soccorso al soggetto coinvolto nell’incidente (magari scongiurandone la morte e – quindi – finendo per versare nell’ipotesi di lesioni stradali personali gravi o gravissime, anziché in quella di omicidio stradale), finiscono per invogliare il reo a darsi alla fuga, anziché prestare detto soccorso.
Poi, vi sono considerazioni anche di carattere squisitamente procedurale.
Com’è noto, l’istituto dell’Arresto in flagranza di reato prevede che, nelle ipotesi più gravi di reato (cui generalmente si risponde a titolo di dolo, ma in cui le nuove previsioni normative – cui si risponde a titolo di colpa – sembrano comunque rientrare), un soggetto che venga colto sul fatto, ovvero trovato dalla Polizia Giudiziaria nel mentre compie una condotta di rilevanza penale, debba essere arrestato immediatamente e tradotto in Carcere.
Successivamente, un soggetto arrestato in flagranza viene attinto da Ordinanza di Custodia Cautelare (all’esito di Interrogatorio di garanzia dinanzi al G.I.P., o al Giudice del dibattimento, in caso di Giudizio Direttissimo), ovvero provvedimento del Giudice che giustifica l’applicazione della misura cautelare custodiale all’indagato.
È altresì noto che la custodia cautelare in carcere, così come la totalità delle misure cautelari, debba essere giustificata dalle c.d. “esigenze cautelari”, ovvero applicata non come mera “anticipazione della pena finale”, bensì al fine di scongiurare il pericolo di fuga, il pericolo di inquinamento probatorio e – infine – il pericolo di reiterazione della condotta di reato.
Come si giustifica l’esigenza cautelare del pericolo di reiterazione della condotta di reato nei confronti di un soggetto cui si contesta un reato a titolo di colpa?
Per meglio dire: come può dimostrarsi che un soggetto accusato di essere colpevole di aver commesso un incidente stradale, e che quindi non ha voluto commetterlo, potrebbe… rendersi nuovamente colpevole di un fatto simile?
Sintetizzando brevemente: come può dimostrarsi che un soggetto accusato di 589 bis c.p. potrebbe cagionare un altro incidente se, in realtà, è dimostrato che non voleva cagionare nemmeno quello che gli viene contestato?
Difficoltà di argomentazione che, non solo coinvolgeranno i Giudici chiamati ad argomentare un simile paradosso, ma che eventualmente daranno luogo a ragionamenti antitetici parimenti criticabili.
Allo stato, ciò che è noto è che la nuova normativa non sembra aver dato i propri frutti: i primi dati riferiscono che gli incidenti non sono calati, che aumentano feriti e che – soprattutto – aumentano le omissioni di soccorso.
Ciò, probabilmente, è frutto di una disciplina poco coordinata con un sistema storicamente garantista e garantito, inutilmente e assurdamente punitiva e che, peraltro, sembra passabile – in un prossimo futuro – di sicure pronunce della Corte Costituzionale.
Sarà cura dello scrivente analizzare quanto prima le primissime pronunce giurisprudenziali sull’argomento.
(Studio Alboreto, nota di Gianstefano Romanelli)
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